Un nesso tridimensionale tra il controllo di gestione e il design organizzativo

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Un tema rilevante, seppur poco dibattuto nella letteratura economico aziendale è quello relativo agli effetti che i sistemi di controllo di gestione esercitano sulla progettazione e sulla pianificazione della struttura organizzativa d’impresa e le conseguenti ricadute sociali generate dal mutare degli equilibri relazionali tra gli individui che compongono l’organizzazione.
Con questo scritto, vorrei introdurre un approccio di tipo “olistico” al controllo integrato di gestione introducendo una visione di tipo tridimensionale dei processi interni tramite l’associazione di una terza dimensione alle due già largamente consolidate in letteratura note come paradigmi di efficacia ed efficienza. La terza dimensione verrà quindi definita come dimensione “sociale”, conseguenza diretta delle dinamiche di interazione tra controllore e controllato ovvero come rete di relazioni e di valore generate dalla corporate governance e dalle sue interazioni con i portatori di interessi dell’organizzazione.

In relazione ai sistemi di amministrazione e controllo, la letteratura disponibile, può essere sostanzialmente declinata secondo due differenti approcci: quello orientato alle tecniche razionali, ovvero allo sviluppo di modelli quantitativi atti ad aggregare i costi intorno ad un prodotto o ad un processo oggetto di analisi e quello orientato nel definire un sistema di controllo che ai modelli puntuali predilige gli aspetti di natura sociale e d’interrelazione focalizzandosi sul quello che V. Coda definisce il “sistema degli stakeholder” all’interno della sua “formula imprenditoriale”. Il sempre maggior interesse nel relazionare la struttura di controllo con il design organizzativo non può non essere correlato all’evoluzione dei sistemi di controllo di gestione che, partendo dai cosiddetti modelli tradizionali, improntati alle configurazioni di costo del prodotto come oggetto esclusivo della ricerca e, passando attraverso la metodologia dei centri di costo, si sono nel tempo sviluppati secondo orientamenti sempre più focalizzati al controllo delle attività di processo interno (Activity Base Cost). In tale contesto, le risorse umane quali attori primari dei meccanismi di funzionamento dell’impresa, assumono un ruolo sempre più importante nei processi di analisi elaborati dai modelli di controllo e la relazione con la struttura organizzativa è quindi tema non banale nella costruzione di un sistema di monitoraggio aziendale integrato.

La globalizzazione dei mercati ha incrementato il numero di soggetti entranti nelle arene competitive di numerosi settori di business. Questo ha avuto notevoli effetti sul ciclo di vita e sui processi interni delle imprese che, per far fronte ad una competizione crescente, necessitano di migliorare costantemente gli standard di efficienza ed efficacia dei processi interni. Ecco quindi che l’interazione tra il sistema di controllo di gestione e la progettazione organizzativa, sembra essere elemento sempre più critico in questo scenario macroeconomico in continua evoluzione. Non è più possibile ricorrere a modelli di controllo empirici non correlati alla proposta di modello organizzativo, ma occorre tracciare un percorso di adeguamento reciproco codificando le relazioni di potenziale compatibilità. La definizione di tale percorso non è standardizzabile in quanto non esiste un modello di controllo di gestione adatto a tutte le organizzazioni. Ogni impresa è unica, ovvero ha caratteristiche esclusive di tipo sociale, culturale e relazionale che la rendono diversa da ogni altra, per cui occorre implementare un sistema di controllo che oltre a garantire i livelli di efficienza e di efficacia attesi deve essere adeguato all’unicità della dimensione socio-organizzativa integrandosi con il tessuto sociale dell’impresa. Occorre quindi un processo analitico che definisca il livello di compatibilità tra modelli di controllo e modelli organizzativi al fine di introdurre una relazione positiva e univoca con i valori sociali che definiscono il posizionamento del sistema degli stakeholder all’interno della formula imprenditoriale. Quest’ultima viene ad essere definita dalla strategia a livello corporate che, indipendentemente da una codifica esplicita o implicita è il manifesto intrinseco e peculiare con cui ogni organizzazione descrive il proprio percorso verso il livello di intensità imprenditoriale pianificato.

Il lavoro di ricerca relativo ai modelli gestionali evoluti si caratterizza sin dagli anni ’70 per una visione parziale dei meccanismi interni d’impresa a causa di una letteratura divisa tra coloro che perseguivano metodologie focalizzate prevalentemente su funzioni matematiche e coloro che si ispiravano ad una logica di tipo socio-culturale. Vi era una netta separazione di pensiero tra chi considerava che l’evoluzione dei sistemi di controllo dovesse passare attraverso l’innovazione tecnologica di modello definita da piattaforme di implementazione che introducevano decisi cambiamenti nelle pratiche di gestione dei costi e nella reingegnerizzazione dei processi e chi invece immaginava che qualunque sistema di controllo aziendale non potesse prescindere dalla dimensione sociale considerando preminenti le modalità di gestione delle relazione tra l’impresa e i propri portatori di interessi. Ecco quindi che il range di pensiero pur con differenti sfumature si estendeva su due posizioni molto distanti tra loro, quella che prediligeva l’uso di modelli tesi a codificare in funzioni i processi interni e quella che si focalizzava sull’intensità interazionale tra gli attori del sistema secondo criteri di tipo socio-culturale.

Dagli anni ’90 l’evoluzione della ricerca sulla gestione aziendale, si aprì a considerare una visione meno settaria avvicinandosi ad una definizione dell’impresa come nexus di modelli di controllo e di modelli organizzativi. Nello specifico, la letteratura a riguardo si sviluppò attraverso quattro correnti di pensiero:

  1. alcuni studiosi si concentrarono sul contesto esterno allo scopo di verificare l’influenza delle contingenze esterne sul percorso storico dell’impresa e da qui determinare la propensione dell’organizzazione ad accettare il cambiamento generato dall’impiego di nuovi sistemi di controllo di gestione;
  2. una seconda corrente di pensiero si focalizzò su aspetti interni all’organizzazione, evidenziando l’influenza del sistema di controllo di gestione sui processi di integrazione gerarchica attraverso l’elaborazione delle informazioni necessarie ai responsabili della gestione del cambiamento interno;
  3. un terzo filone di ricerca può essere riferito alla letteratura che si focalizza sull’importanza del sistema di controllo di gestione in riferimento allo sviluppo e alla gestione delle interdipendenze nella progettazione della struttura organizzativa.
  4. infine un ultimo cluster di ricerche può essere ricondotto ad una visione del sistema di controllo di gestione come strumento di stimolo al cambiamento della struttura organizzativa per gli attori coinvolti nei processi.

L’evoluzione della ricerca più che trovare dei percorsi di analisi condivisi ha prodotto un processo di stratificazione rispetto alla divisione iniziale, l’unico elemento concettuale che accomuna questi quattro differenti approcci letterari, lo possiamo identificare nel pensiero condiviso sull’idea che l’implementazione di un modello di controllo di gestione definisce nuove interrelazioni tra gli attori dei processi aziendali non solo per il variare degli equilibri gerarchici ma anche per una gestione necessariamente diversa dei flussi di informazioni interne. Allora, appare abbastanza logico dedurre che l’organizzazione è notevolmente influenzata da una ridefinizione del modello di controllo per cui, un processo di adeguamento della pianta organica e delle interdipendenze, deve essere necessariamente messo in atto se non si vuole incorrere nel rischio di inficiare l’efficacia del modello implementato. Per altro verso riprogettare la struttura organizzativa di una impresa, non può rifarsi esclusivamente alle interrelazioni sociali tra gli attori che la compongono tralasciando la relazione con i meccanismi di controllo dei processi interni. A maggior ragione se si considera il fatto che tali meccanismi sono sempre più orientati verso le attività e meno verso i processi di aggregazione dei costi al prodotto.
Alla luce delle considerazioni esposte, un approccio “olistico” appare sempre più opportuno nel ridefinire il nesso di relazioni tra i modelli di controllo di gestione e i modelli relativi alla progettazione organizzativa. Nello specifico, reputo interessante verificare se esiste la possibilità di pensare ad un sistema di controllo che oltre ad elaborare dati trasformandoli in informazioni al fine di incrementare il livello di conoscenza del decisore e facilitarne i processi decisionali, possa allo stesso tempo contribuire alla definizione del processo di integrazione utilizzando una modalità di osservazione diversa da quelle proposte dalla letteratura esistente. L’idea è quella di avvalersi di una prospettiva tridimensionale, che figurativamente possiamo descrivere come l’intersezione in un punto che definisce la best practice di tre vettori rappresentanti rispettivamente il livello di efficienza, il livello di efficacia e il livello di intensità sociale inteso non più come mero indicatore della qualità del sistema di interrelazione politico sociale che correla l’impresa ai suoi stakeholder interni ed esterni,  ma piuttosto cercando di estendere il concetto di valore sociale attraverso un percorso critico definito da un processo di integrazione e di settaggio delle competenze che miri ad estendere la dimensione individuale del portatore d’interesse declinandolo come una unità aggregata di relazioni industriali attorno al quale si muovono i flussi di processo necessari al funzionamento dei meccanismi interni dell’impresa.

In concreto, il sistema tridimensionale a cui mi riferisco è la sintesi di due modelli: il primo orientato ai metodi avanzati quantitativi di controllo : l’Activity Base Costing (ABC), il secondo orientato alla progettazione della struttura organizzativa secondo un processo a regressione lineare focalizzato sugli skill delle risorse umane e  denominato Resource Base View (RBV). Quest’ultimo ideato da Birger Wernerfelt negli anni ’80 e successivamente sviluppato da Jay Barney nel ventennio successivo.

La Costruzione del modello tridimensionale 

Partendo quindi dal modello ABC e dal modello RBV il sistema viene ad essere costruito secondo una metodologia a steps progressivi. Da un punto di vista meramente metodologico si intende realizzare una mappa planare di ogni modello esaminato e successivamente analizzare le intersezioni dei piani per identificare i metodi comuni rispetto a due delle tre dimensioni proposte: l’efficienza e l’efficacia. I metodi comuni rilevati, costituiranno il kernel del nuovo modello proposto a cui, di seguito, onde rendere il modello completo verrà associata la terza dimensione proposta e relativa all’intensità del valore sociale attraverso l’utilizzo di metodologie “derivabili” in maniera diretta dalle discipline sociali.

Tale modello deve essere quindi sottoposto ad un’analisi quantitativa per esaminarne le caratteristiche reali e, nel caso, occorre considerare in questa fase eventuali aggiustamenti operativi onde garantire l’affidabilità e l’applicabilità del risultato finale rispetto ad uno scenario reale. L’obiettivo finale, è la realizzazione di un modello concreto ed immediatamente applicabile al contesto di managerialità di un’organizzazione complessa. La dimensione operativa rispetto alla validazione dei dati e dei risultati, deve essere il focus primario di interesse, al fine di evitare la costruzione di un modello puramente speculativo e non applicabile come strumento operativo all’interno di un’organizzazione.

La ricerca e lo sviluppo di tale modello saranno il tema dominante del prossimo articolo.

 

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